agosto 2024
ZINO PENSIERO - IL GRANDE MARE DELLA SCRITTURA, DELLA PUBBLICAZIONE E DELLA SEDICENTE LETTURA.
Alla fine, la scrittura è diventata un vizio comune e universalmente diffuso.

Occupa le giornate e le notti, costringe a spremere le meningi per ripescare nella memoria propria, collettiva o familiare una storia, anche minima, piuttosto dimenticata, non sempre di interesse generale, ma, comunque, meritevole di essere risuscitata e ricostruita, almeno a parere di chi la sottrae all’oblio.

Il bisogno della riproposizione del passato nasce quando il presente appare scialbo, insignificante, deludente.
Ma se si mettessero in fila tutte le pubblicazioni proposte in tutti i possibili ambiti geografici, si raggiungerebbe la dimensione di quella Biblioteca di Babele, alla quale fa riferimento Borges.

Il fatto è che spesso le pubblicazioni regionali, provinciali o comunali si attengono alle storie, che non sempre sono state interessanti, o, comunque, hanno un ambito di riferimento ristretto.

In fondo, la storia locale interessa forse solo chi vive nello stesso luogo in cui gli eventi ricostruiti si svolsero, a meno che non ci sia qualche riferimento alla macrostoria.

E forse, sotto questo aspetto si potrebbe consentire un certo consenso unito al plauso per chi si sobbarca alla fatica di consultare impolverati documenti.

Di tutt’altro genere sono le scritture che si possono definire inventate, immaginate, non ricostruite. Sono le storie private, le ricostruzioni delle abitudini familiari, le pseudo-proustiane immersioni nelle delizie del palato legate alla capacità manipolatoria della nonna o della zia, gli innamoramenti adolescenziali, gli amori interrotti dalla guerra o da altri eventi traumatici, le scabrose vicende giallistiche o giudiziarie ricostruite o, semplicemente, inventate.

In fondo, se per gli argomenti storici si può giustificare una accondiscendente accoglienza, difficile è estendere lo stesso giudizio nei confronti di romanzi autobiografici o, in qualche modo, biografici.

Inoltre, costituisce una caratteristica comune di un buon numero di taluni scrittori l’abitudine ad un uso disinvolto della lingua, che non sempre risponde a canoni estetici e strutturali gradevoli e validi in sé.

Sono diffusi periodi brevi, paratassi sempre e raramente ipotassi, lessico comune e povero, in molti casi si nota una forma reale o camuffata di idioletto.

In fondo, il lettore medio di oggi legge poco, ma fruisce di una consistente dose di immersion nel trash della TV: abituato ad una fruizione mediatica, ha bisogno di una scrittura semplice, ridotta nelle scelte espressive e nelle sollecitazioni riflessive ed intuitive: leggere come se si seguisse una trasmissione televisiva.

Il prodotto editoriale è numeroso perché, se esistono tante case editrici che vivono sulle velleità artistiche di tanti scrittori, vuol dire che prospera anche un lettore che compra i libri o che lo riceve come omaggio dallo stesso autore.

In fondo, l’industria editoriale è democratica, consente a tutti di accedere alla pubblicazione, seguendo strade adatte o furbe scorciatoie.

Ma esiste un pubblico disinteressato, stimolato dalla pregevolezza di un testo, che compra anche un libro appartenente ad una scrittura minore?

Forse durante le presentazioni, che ora sono frequenti e che ormai si sono trasformate in un veicolo propagandistico, si vende un certo numero di copie, anche perché sembra sconveniente non tenere tra le mani una copia del libro, in fase di presentazione, specie se si incorre sotto lo sguardo attento e scrutatore dell’autore che osserva se, almeno gli amici, si sono sacrificati nell’acquisto.

Alla fine, nel campo della editoria di romanzi o di poesie, vige la regola aurea a causa della quale esiste una sorta di naturale selezione: tante pubblicazioni, pochi editori puri; il prodotto mediocre è sempre soppiantato da quello dotato di peculiari e gradevoli requisiti.

La prima satira di Aulo Persio Flacco si occupa proprio di tutto questo mondo ed anticipa certi vezzi e luoghi comuni che sempre accompagnano gli autori nel cammino verso la notorietà o l’oblio.

L’aggravante, nel caso specifico della satira di Persio, è che i testi spesso venivano declamati a voce nel corso di apposite riunioni: e questo costituiva una ulteriore pesantezza nella fruizione disinteressata degli spettatori.

“Chiusi in casa, scriviamo, chi in poesia, chi senza freno di metrica alcuna, ma sempre grandi capolavori da soffiare dai polmoni ben gonfi d’aria.

Tu, naturalmente, coi capelli pettinati, tutto candido nella toga nuova, con al dito la sardonice del tuo compleanno, mentre leggi queste cose al popolo dall’alto del palco, dopo aver gargarizzato la tua agile gola con liquide modulazioni, disfatto, con l’occhio nuotante nel piacere, vedrai Titi (I romani) grandi e grossi fremere indecentemente e con voce turbata, sentendosi penetrare nei lombi i tuoi carmi e strofinare dai tuoi tremuli versi le loro parti intime.” (Aulo Perso, Satire, I, p. 17).



Apparso anche su facebook e su La Sicilia del 28 aprile.
Zino Pecoraro

 
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