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luglio 2018
MIGRANTI CLIMATICI
I migranti climatici ed i diritti di accoglienza
Come riporta Antonio Cianciullo nel suo articolo sulla situazione nella conca del lago Chad, l'avanzata del deserto prodotta dal caos climatico spinge intere popolazioni, per lo più dedite alla pastorizia, verso Sud dove lo scontro cruento con gli agricoltori è fatale.

Negli ultimi 50 anni il lago Chad, che per secoli ha rappresentato un elemento fondamentale di mitigazione climatica rendendo possibile l’aggregazione di molte popolazioni nelle vicinanze delle sue rive, ha perso il 90% della sua superficie; il deserto ha ripreso la sua avanzata e man mano che la morsa arida si stringe attorno ai villaggi, si spezza il fragile equilibrio sociale ed economico appeso alla possibilità di un’agricoltura e di una pastorizia di sussistenza; spesso non c’è altro rimedio che la fuga e scatta l’evacuazione.

Molti giovani e giovanissimi si dirigono invece verso Nord, tentando la traversata del deserto e poi del Mediterraneo nella speranza di ritrovare una nuova vita.
Ma secondo la classificazione dominante che distingue tra chi parte per necessità (i “pushed” destinati a diventare rifugiati), da chi lo fa per scelta (i pulled, in cerca di migliori prospettive economiche), i migranti “climatici” non esistono e quindi non hanno diritti di accoglienza. Solo chi fugge dalle guerre e dalle persecuzioni può essere accolto. Ma il cambiamento climatico sta creando masse di sfollati molto più vaste di quelle che abbiamo visto negli ultimi anni; queste migrazioni creano inevitabilmente tensioni e conflitti e le popolazioni più povere subiranno le conseguenze peggiori.

Purtroppo l’incapacità degli Stati di garantire i diritti agli sfollati contribuisce a creare le condizioni per le dittature. Così sostiene Hannah Arendt nel suo più famoso libro “Le origini del totalitarismo” uscito nel 1951. Di fatto, dopo che il liberismo sfrenato ha portato alla globalizzazione dei mercati, si può constatare che di pari passo sono drammaticamente aumentate le diseguaglianze e che i ceti medio-bassi che stavano raggiungendo l’agognato benessere economico, stanno ri-sprofondando nella povertà dando un impulso straordinario al populismo rivendicativo e sovranista.

La presenza di milioni di sfollati diventa così uno strumento di negazione dei diritti umani universali. I diritti si ottengono solo se si fa parte di uno Stato nazionale. Si inaspriscono i controlli sui migranti indesiderati, assegnando alle forze di polizia più poteri che poi saranno usati inevitabilmente contro i propri cittadini. Le modifiche costituzionali di Orban in Ungheria vanno proprio in questa direzione, raccogliendo peraltro gli encomi e i consensi di molti predicatori nostrani.

Ci sono preoccupanti consonanze tra i nuovi potentati populisti e l’infrastruttura che si vorrebbe costruire in Europa, dalla criminalizzazione di chi aiuta i migranti ai programmi per attuare espulsioni di massa nel nome della sicurezza e dell’identità nazionale.

Chi predica che bisogna occuparsi prima dei propri cittadini prima di pensare ai profughi non è interessato né agli uni né agli altri; è soltanto un miserabile vanesio malato di onnipotenza.
Non c’è soluzione alla crisi migratoria, se per soluzione si intende quella di far sparire i profughi.

L’unica soluzione possibile è da una parte quella di aprire incondizionatamente le frontiere e dall’altra quella di investire massicciamente nel continente africano per creare sviluppo, sperando di riuscire a migliorare il tenore di vita delle sue popolazioni e facilitando così il ritorno di parte degli sfollati.

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Sergio Zabot

 
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