ZINOPENSIERO: "XENIA" DI MARZIALE:, TRA GARUM, MAMMELLA DI SCROFA E LA AFRODISIACA CIPOLLA Non sempre le opere minori di poeti o scrittori in genere sono trascurabili o insignificanti; addirittura, può succedere che proprio quelle minori propongano interessanti spunti sulla biografia o sulla opera complessiva dell’autore. Nel caso specifico di “Xenia” di Marziale, come del resto avviene negli “Epigrammi”, è possibile intravedere uno squarcio realistico che consente al lettore moderno di farsi una idea precisa del modo di vivere dei Romani all’epoca in cui scriveva Marziale, anzi, nello specifico, gli Xenia consentono di conoscere quali erano le abitudini alimentari dei cittadini e, se si considera che gli Xenia erano dei doni, si può comprendere che certe volte il cibo, i condimenti, le bevande rientravano nel novero delle ricercatezze alimentari, oltre che essere testimonianza di una prelibatezza, di cui si fornivano a bella posta la ricetta o le procedure per ottenere la pietanza. Che cosa erano gli Xenia? Secondo la definizione contenuta nell’Enciclopedia Treccani: “Xènion o (più spesso) xènia, è l'antica denominazione dei doni all'ospite in genere o più specificamente degli alimenti inviati agli ospiti nelle stanze messe loro a disposizione dal signore della casa. ” Marziale propone una serie di “Xenia”. Un cibo comune che poteva essere offerto senza tante spese era rappresentato dalle uova: “In un candido albume circoscritti / stanno i tuorli colore zafferano, / buoni con salsa spagnola di sgombri”. (Marziale, p. 683). La salsa spagnola di sgombri per il condimento era il famoso “garum”, una salsa che era creata con sangue e interiora di sgombri fatti lungamente fermentare al sole. Il garum era molto apprezzato dai buongustai; infatti, si trovano negli “Xenia” altri riferimenti a questa rinomata salsa: “L’ostrica. Vengo ubriaca d’acqua del Lucrino, / lago vicino a Baia, adesso ho sete / solo di lusso, di nobile garum.” (Cit. p. 692). Il termine “lusso” implicitamente designa la abituale categoria dei consumatori di ostriche. “La salsa di tonno. Lo confesso, son figlia / solo di tonno di Antibes, / fossi stata di sgombro / chi mi ti regalava?” (Cit. p. 699). In questo caso, sembra che il garum sia riconosciuto di qualità e di rinomanza superiore alla semplice salsa di tonno. “Il garum degli amici. Prendi questo glorioso / dono meraviglioso / fatto col sangue di sgombri ancora vivi.” (Cit. p. 699). Una pietanza più volte citata come regalo per gli ospiti è la mammella di scrofa, un piatto particolarmente apprezzato, ma che ora appartiene agli scarti della macellazione e non appare ai giorni nostri come una parte particolarmente appetibile. “La mammella di scrofa. Credi non sia neppure cotta, tanto / la mammella si gonfia ed il capezzolo / è pieno di vivo latte.” (Cit. p. 685). La cipolla, come si sa, costituisce la base per la cottura e per il gusto che dà alle pietanze; non poteva mancare un riferimento alla cipolla, che nel testo di Marziale comprende anche una allusione alle qualità afrodisiache dello stesso ortaggio: “Se tua moglie è ormai vecchia e le sue membra / sono ormai senza forza, / l’afrodisiaca cipolla / servirà solo a saziarti.” (Cit. p. 683). Oltre che cibo, il dono poteva essere anche un naturale lassativo: “Le prugne di Damasco. Su, prendi queste prugne, / rugose perché invecchiate all’estero, / che sciolgono i più duri ventri stitici.” (Cit. p. 681). Due testi sono dedicati al povero cappone, del quale si rimarca l’avverso destino: “Il cappone. Perché il gallo non dimagrisca troppo / per eccesso d’amore, ecco ha perduto / le palle. Adesso sì che è proprio un Gallo.” (Cit. p. 689). L’allusione di Marziale risulta chiara se si tiene conto che i Galli, sacerdoti di Cibele, erano evirati. Sull’infelice esistenza del cappone Marziale ritorna nel testo successivo con una icastica raffigurazione: “Ancora il cappone. La gallinella s’accovaccia invano / a uno sterile sposo, che dovrebbe / essere sacro alla madre Cibele.” (Ibidem). Un prodotto rinomato ancora oggi e con la stessa provenienza geografica. È proposto anche il modo di cucinarlo: “Le mozzarelle. Siamo di Maddaloni: ci conservi / nell’acqua o ci cucini sulla brace.”. (Cit. p. 681). Non può mancare in questa rassegna di gastronomia l’allusione al dualismo tra cibo povero e pietanze succulente, elaborate, dispendiose che sono abituali ai ceti sociali più elevati, e solo immaginate dai poveri: “Le fave. Se in una pentola rossa / si crogiolano pallide fave / puoi anche dire di no / ai banchetti dei ricchi.” (Cit. p. 675). Le pentole rosse assolvono ancora al loro compito di soddisfare palati fini in grado di apprezzare piatti semplici, ma nutrienti e gustosi. Apparso anche in facebook e su La Sicilia del 1 settembre 2024. Zino Pecoraro
|