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luglio 2018
ZINO PENSIERO: Il partito della musica e della bellezza
Ebbene – pare proprio così – i partiti sono in via di esaurimento: resistono a mala pena, non godono di buona fama presso gli elettori. In effetti, i partiti, quando erano in auge, avevano dei nobili scopi: analizzavano i bisogni dei cittadini e delle collettività nel loro insieme, si sforzavano di trovare delle soluzioni ai problemi, dibattevano con confronti aspri e nervosi, e poi proponevano programmi che costituivano la base fondante del loro proporsi alle scelte degli elettori.

Chi ha fatto esperienza diretta, negli anni ’50 o ‘ 60, della vita dei partiti e delle connesse, interminabili riunioni, sa quante discussioni e quante sottigliezze dialettiche erano sfoderate per far prevalere il proprio punto di vista, per avvalorare una decisione o per assegnare un compito o una carica al proprio pupillo.

La vita dei partiti, specie di quelli della Sinistra, era organizzata capillarmente: esistevano sezioni nei comuni ed erano frequentate dagli iscritti; in ogni capoluogo di provincia non mancava una federazione con un segretario provinciale.
Anche ai nostri giorni esistono – ma sono pochi ! – i partiti. Non hanno più quella organizzazione capillare, quella disponibilità di iscritti, decisi ad impegnarsi a fondo nelle campagne elettorali o nelle manifestazioni di stimolo civile o politico.

Il consenso politico, ormai, in stagione postmoderna e con la crisi ed il declino delle grandi narrazioni ideologiche, si ottiene, sfruttando – paradossalmente – tutti i mezzi offerti dalla modernità: mass media, concerti, assemblee aperte, protagonismi individualistici.

Tra il tono castigato e culturalmente impegnato del rappresentante di un partito dotato di valide ed accertate esperienze formative ed un demagogo linguacciuto, sprovvisto di cultura, ma pronto alla battuta e al dileggio, le masse propendono per il secondo.

Il comizio in questo caso corrisponde ad uno spettacolo comico, senza costrutto e senza logica, basato solamente sulla attitudine demolitoria nei confronti del concorrente, giudicato nemico “da asfaltare”, per dirla con un eufemismo di basso conio e di matrici omicide. In epoca postmoderna non si può fare a meno di vivere l’esperienza della società dello spettacolo: tutto è spettacolo, tutto può essere ricondotto al comico e all’offesa.

Non è accettato un contraddittore: il monologo è alla base della comunicazione; si parla ex cathedra come i Papi. Tutti hanno la memoria corta, nessuno ricorda niente di quello che ha sentito durante l’ultimo “spettacolo” elettorale; la parole non sono più “pietre”, si pronunciano e si disperdono; la coerenza e il rispetto degli elettori sono virtù obsolete.

E’ forse arrivato il tempo di sostituire i vecchi partiti, che pare abbiano perso per strada la forza di educare, con nuovi partiti, che sappiano scavare a fondo nell’anima delle persone per fare emergere le qualità migliori, le virtù civili, il senso del rispetto per gli altri, per la vita umana, il bon ton relazionale: il partito della musica e della bellezza.

In chiave postmoderna le narrazioni che possono proporre questi due nuovi partiti sono nello stesso tempo antiche ed attuali, consumistiche e perenni, rituali ed innovative, emotive e rasserenanti, individualistiche e collettive.
La musica e la bellezza penetrano a fondo, più delle ideologie, scardinano i monolitismi sentimentali, i pregiudizi atavici danno compostezza e serenità, affratellano gli esseri umani, parlano un linguaggio comprensibile a tutti e da tutti facilmente reiterabile: entrano nelle coscienze e ne modificano le storture e le contraddizioni.

Il partito della musica e della bellezza non ha mai perso, ha conquistato sempre nuovi adepti, non si è mai ritirato dalla scena della storia ed è andato al di là delle stesse contingenze storiche: ha saputo superarle per costruire un mondo migliore.
“Ma Konrad impallidiva ogni volta che l’ascoltava. Qualsiasi tipo di musica, anche la più volgare, lo toccava intimamente, come un’aggressione fisica. Impallidiva, e le sue labbra cominciavano a tremare. Gli trasmetteva emozioni alle quali gli altri restavano indifferenti. Probabilmente le melodie non si rivolgevano soltanto al suo intelletto.

Quando ascoltava la musica, la disciplina che gli era stata inculcata, grazie alla quale si era conquistato un rango nel mondo e che aveva volontariamente accettato come il credente accetta la punizione e la penitenza, si allentava.” (Sandor Marai, Le braci, p. 47).
Zino Pecoraro (Pubblicato anche su Facebook e su La Sicilia del 10 giugno 2018)

 
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