dicembre 2015
PRESSO LA RIVA: L'ONTANO
foto "Presso la riva" potrebbe essere l'origine celtica del nome dell'albero Ontano.
Ontano è il nome comune delle piante del genere Alnus, questo genere comprende 19 specie della zona temperata boreale, del Mediterraneo e delle Ande.
Tra le differenti specie di Ontano, quello che normalmente viene chiamato "Ontano nero" è la più diffusa, non solo in Italia ma anche in tutta Europa. Il nome deriva dal colore marrone scuro della corteccia del fusto e dei rami. La medesima pianta è chiamata anche "Ontano rosso" per il colore che il legno assume, a contatto dell'aria, dopo che è stata tagliata.

Sono alberi, generalmente di piccola taglia, o cespugli che si sviluppano sino a 8-10 metri, eccezionalmente raggiungono i 25-30 metri. Hanno una crescita piuttosto rapida nei primi anni, raggiungendo in breve tempo le dimensioni definitive, ma non sono molto longevi.
Vive in gran parte dell’Eurasia lungo i corsi d’acqua, in Italia cresce naturalmente solo nell'Italia meridionale formando ampi boschi.
L'Ontano può assumere una forma a cespuglio visto che, con opportune potature, si possono sviluppare diversi tronchi direttamente dalla base. Questo tipo di trattamento viene effettuato quando si vogliono far crescere esemplari da usare per la falegnameria o per la produzione di pali. Crescono quasi esclusivamente nelle zone umide e paludose o vicino ai corsi d’acqua.
Infatti l'Ontano è noto per la sua resistenza in un ambiente umido. Gli olandesi lo hanno ampiamente adoperato nella costruzione delle loro dighe. In particolare buona parte del basamento di Venezia , tra cui il Ponte di Rialto, è stato ed è ancora costruito con questo legno. All’epoca furono usati ontani neri provenienti dai boschi delle Prealpi venete e friulane e da quelli cadorini, carnici e istriani. San Pietroburgo, la città creata dal nulla su terreno paludoso, all’inizio del 1700, dall’architetto ticinese Domenico Trezzini, è costruita su piattaforme solide tenute assieme da tronchi e pali di Ontano. Anche Amsterdam è posata su palafitte interrate di legno di Ontano come pure le dighe che tengono assieme i bolder dell’Olanda sono di legno di Ontano. La particolare resistenza all’acqua e all’umidità ha fatto sì che tronchi di Ontano vuotati all’interno fossero utilizzati nel Medio Evo come tubi per l’acqua.

Sono alberi che non temono ne il freddo e neppure il caldo.
Il suo tronco ha un aspetto di colore rosso-arancione, molto liscio e privo di nodi e imperfezioni. È quindi diventa un legno ideale per la scultura. Se ne fanno ornamenti per mobili, modellini e giocattoli. Era anche l’albero adatto per la produzione di zoccoli (infatti è a questo albero che fa riferimento Ermanno Olmi ne “l’albero degli zoccoli”)
Alcuni sostengono che i più vecchi dei celebri klompen, o zoccoli olandesi , possano avere 850 anni e quello più antico, in legno di ontano, risale al 1230 ed è stato ritrovato nei pressi della diga costruita sul fiume Rotte nella via Nieuwendijk di Amsterdam.
Sia la rapidità di crescita degli ontani che la facoltà delle sue radici di ospitare tra le loro nodosità un fungo microscopico che fissa direttamente l’azoto dell’aria nel terreno, hanno fatto apprezzare l'uso di questi alberi come essenze nella biorimediazione ( "trattamento che utilizza organismi naturali per abbattere le sostanze pericolose in meno tossico o non sostanza tossica" ) per recuperi di cave, siti minerari, aree incendiate.

Nell’antichità l’Ontano produceva più tinture: il verde dai fiori, il bruno dai rami ed il rosso dalla corteccia. La corteccia dell' Ontano è stata usata anche per la concia delle pelli e veniva anche messa a macerare con della limatura di ferro, per tingere di nero il feltro dai cappelli.
Come il legno del pino, del rovere e del larice, veniva usato per fare secchi e tinozze. La sua carbonella produce una cenere di potassio che può essere usata in agricoltura.

Confessioni di un teppista Sergej Aleksandrovic Esenin.
foto foto foto
Non a tutti è dato cantare,
E non tutti possono cadere come una mela
Sui piedi degli altri.
Questa è la più grande confessione,
Che mai teppista possa rivelarvi.
Io porto a bella posta la testa spettinata,
Lume a petrolio sopra le mie spalle.
Mi piace illuminare nelle tenebre
L'autunno spoglio delle vostre anime.
E mi piace quando una sassaiola di insulti
Mi vola contro, come grandine di rutilante bufera,
Solo allora stringo più forte tra le mani
La bolla tremula dei miei capelli.
È così dolce allora ricordare
Lo stagno erboso e il suono rauco dell'ontano,
Che da qualche parte vivono per me padre e madre,
Che se ne fregano di tutti i miei versi,
E che a loro sono caro come il campo e la carne,
Come la pioggia fina che rende morbido il grano verde a primavera.
Con le loro forche verrebbero a infilzarvi
Per ogni vostro grido scagliato contro di me.
Miei poveri, poveri contadini!
Voi, di sicuro, siete diventati brutti,
E temete ancora Dio e le viscere delle paludi.
O, almeno se poteste comprendere,
Che vostro figlio in Russia
È il più grande tra i poeti!
Non vi si raggelava il cuore per lui,
Quando le gambe nude
Immergeva nelle pozzanghere autunnali?
Ora egli porta il cilindro
E calza scarpe di vernice.
Ma vive in lui ancora la bramosia
Del monello di campagna.
Ad ogni mucca sull'insegna di macelleria
Da lontano fa un inchino.
E incontrando i cocchieri in piazza,
ricorda l'odore del letame dei campi nativi,
Ed è pronto a reggere la coda d'ogni cavallo,
come fosse uno strascico nuziale.
Amo la patria!
Amo molto la patria!
Anche con la sua tristezza di salice rugginoso.
Adoro i grugni infangati dei maiali
E nel silenzio della notte, la voce limpida dei rospi.
Sono teneramente malato di ricordi infantili,
Sogno delle sere d'aprile la nebbia e l'umido.
Come per scaldarsi alle fiamme del tramonto
S'è accoccolato il nostro acero.
Ah, salendo sui suoi rami quante uova,
Dai nidi ho rubato alle cornacchie!
È lo stesso d'un tempo, con la verde cima?
È sempre forte la sua corteccia come prima?
E tu, mio amato,
Mio fedele cane pezzato?!
La vecchiaia ti ha reso rauco e cieco
Vai per il cortile trascinando la coda penzolante,
E non senti più a fiuto dove sono portone e stalla.
O come mi è cara quella birichinata,
Quando si rubava una crosta di pane alla mamma,
e a turno la mordevamo senza disgusto alcuno.
Io sono sempre lo stesso.
Con lo stesso cuore.
Simili a fiordalisi nella segale fioriscono gli occhi nel viso.
Srotolando stuoie d'oro di versi,
Vorrei dirvi qualcosa di tenero.
Buona notte!
A voi tutti buona notte!
Più non tintinna nell'erba la falce dell'aurora...
Oggi avrei una gran voglia di pisciare
Dalla mia finestra sulla luna.
Una luce blu, una luce così blu!
In così tanto blu anche morire non dispiace.
Non m'importa, se ho l'aria d'un cinico
Che si è appeso una lanterna al sedere!
Mio buon vecchio e sfinito Pegaso,
M'occorre davvero il tuo trotto morbido?
Io sono venuto come un maestro severo,
A cantare e celebrare i topi.
Come un agosto, la mia testa,
Versa vino di capelli in tempesta.
Voglio essere una gialla velatura
Verso il paese per cui navighiamo.



Fonti:
www.wikipedia
www.viverelamontagna
www.fabriziagianni
www.holland
www.treccani
www.iamsterdam
www.naturelab
Anna Zacchetti

 
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