ARTICOLI  »  TERRITORIO
aprile 2004
MILANO: DOPO LA FIERA

Nonostante l'AdP approvato con DPGR 8 aprile 1994 n. 58521 fosse prioritariamente
indirizzato alla definizione di un nuovo insediamento fieristico nei comuni
di Rho e Pero, esso stabilì anche la dismissione dagli usi fieristici
una superficie di 314.000 mq nel territorio del comune di Milano, già
indicata dal PRG come area S.S. b 12/2 con destinazione funzionale a "servizi
speciali: fiera" e corrispondente al recinto fieristico storico.


Ciò avrebbe consentito di risolvere uno storico problema di decongestionamento
urbano lungo la direttrice nord-ovest della città, limitando la
destinazione funzionale fieristica solo alle aree del nuovo edificio realizzato
lungo viale Scarampo, denominato polo interno.


Infatti, la Fiera di Milano, insediandosi nel 1922 sull'area dell'ex
Piazza d'Armi, la cui giacitura aveva un orientamento difforme dai tessuti
edilizi circostanti perché il Piano Beruto nel 1899 la disegnò
secondo un'astratta simmetria con la giacitura del Cimitero Monumentale
rispetto all'asse di corso Sempione, determinò un disassamento
del recinto fieristico rispetto alla trama viaria e ai tessuti edilizi
della direttrice nord-ovest della città, che nel tempo ha provocato
inconvenienti via via più gravi sia dal punto di vista viabilistico
che di un corretto assetto insediativo urbano.


Da anni, quindi, numerosi studi e progetti hanno cercato di ovviare a
tali inconvenienti proponendo riassetti urbanistici che ricomponessero
l'andamento di quel brano di città rispetto al tessuto edilizio
circostante: così nel 1937-38 il Progetto di Concorso per la Nuova
Fiera al Lampugnano di Bottoni, Lingeri, Mucchi, Terragni, nel 1938 il
Progetto Milano Verde degli architetti Albini, Belgiojoso, Bottoni, Gardella,
Mucchi, Peressutti, Putelli e Rogers, nel 1945 il Piano AR, tra il 1946
e il 1951 i progetti di de Finetti su incarico del Consiglio di amministrazione
della Fiera. Una traccia di continuità con tale atteggiamento è
reperibile anche nello schema della cosiddetta T rovesciata proposta dal
Documento di Inquadramento urbanistico approvato dal Comune di Milano
nel giugno 2000.


Nel 1994, tuttavia, l'AdP si limitò ad indicare la superficie
da dismettere dagli usi fieristici, lasciando indeterminate molte questioni
relative alle aree previste in dismissione, tra cui in particolare la
loro nuova destinazione funzionale, lo strumento procedurale di questa
modifica, gli indici di densità edificatoria, di altezza e distanza
degli edifici da applicarsi nel riutilizzo delle aree, la quantità
di aree pubbliche necessarie alla città in occasione del nuovo
utilizzo.


Tutti questi aspetti, anziché essere indirizzati dal Comune di
Milano alla risoluzione dei problemi di decongestionamento della città
sono stati in realtà stabiliti autonomamente da Fondazione Fiera
Milano (ora ente di diritto privato), con finalità di esclusiva
valorizzazione economica del proprio patrimonio immobiliare.


Infatti, in un suo documento definito "Procedura negoziata privata
per la cessione di parte dell'area del quartiere fieristico storico",
pubblicato con un'inserzione su organi di stampa specializzati in campo
finanziario (Sole 24 ore, Financial Time, Handelsblatt) già in
data 4 aprile 2003 si indicavano agli aspiranti acquirenti dell'area gli
strumenti procedurali (Programma Integrato di Intervento), le destinazioni
funzionali (residenziali, terziarie, commerciali, produttive in percentuali
libere), gli indici edificatori (Ut =1,15 mq/mq), le quantità di
aree pubbliche da cedere (50% della superficie in dismissione), e l'assenza
di limiti di altezza e distanza degli edifici.


Infine, in contrasto con il contenuto dell'Accordo di Programma del 1994,
in tale documento si indica in 255.000 mq. anziché in 314.000 mq
la superficie da dismettere dagli usi fieristici, mantenendo a destinazione
fieristica anche un'area e gli edifici esistenti all'angolo tra viale
Scarampo e viale Berengario.

Mentre le dismissioni indicate dall'Accordo di Programma del 1994 avrebbero
consentito di tener fermo l'obiettivo di una trasformazione urbanistica
coerente coi tessuti insediativi circostanti, le nuove previsioni contenute
nella procedura negoziale privata promossa dagli organismi della Fiera,
discostandosene per interessi aziendali interni, lo compromettono definitivamente,
impedendo la possibilità di rettificare il tracciato di viale Scarampo
all'interno dell'attuale recinto fieristico.


D'altra parte, che l'obiettivo di quei contenuti siano gli interessi
aziendali della Fiera e non quelli di igienicità e decongestionamento
urbano dell'area è dimostrato anche dalle modalità di svolgimento
della procedura di negoziazione privata attivata da Fondazione Fiera Milano,
che non solo affida la valutazione dei progetti proposti dagli aspiranti
acquirenti ai membri del proprio Consiglio di amministrazione e non ad
una Commissione indipendente e tecnicamente qualificata, ma effettua la
valutazione delle offerte per l'acquisto dell'area di Trasformazione e
il relativo Progetto di Riqualificazione in base al criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa per la proprietà (artt. 8
e 15 della "Procedura negoziata privata"), anziché con
quello del maggiore utilità complessiva in termini di somma tra
remunerazione alla proprietà e valore delle quantità di
aree ed attrezzature pubbliche proposte.


Ciò nonostante i contenuti planimetrici e normativi di quella
procedura negoziata privata sono stati pedissequamente assunti nella delibera
GC n. 884/2003 del 15 aprile 2003, sulla cui base il Sindaco di Milano
in pari data ha chiesto al Collegio di Vigilanza sull'Accordo di Programma
di convalidarli ai fini di un'integrazione all'AdP del 1994, sottoscritta
poi il 14 novembre 2004 e ratificata dal Consiglio comunale in data 9.12.2003,
senza tener conto delle esigenze igieniche, di decongestionamento urbano
e delle quantità minime di spazi pubblici prescritte in sede di
formazione degli strumenti urbanistici dall'art. 7, punto 2 del D.I. n.
1444/68.


A tale proposito occorre far rilevare:

- che il ricorso all'Accordo di programma approvato con decreto del presidente
della regione per determinare i contenuti della Variante al PRG non è
motivato da alcuna destinazione di interesse pubblico di competenza regionale,
essendo le nuove funzioni previste unicamente quelle residenziali, terziarie
e produttive con i relativi spazi di servizi pubblici;

- che l'indice di edificabilità territoriale attribuito dalle NTA
della Variante all'area oggetto di trasformazione funzionale, pari a 1,15
mq/mq, è molto superiore a quello attribuito a tutti gli altri
PII già approvati dal Comune di Milano (0,65 mq/mq);

- che l'indice di edificabilità fondiaria che ne deriva è
almeno pari a 2,3 mq/mq (suscettibile di ulteriori aumenti se l'area pubblica
ceduta fosse oltre il 50% della St), cioè molto superiore all'indice
fondiario massimo di 1,5 mq/mq prescritto dalle NTA della Variante per
l'attigua area mantenuta a destinazione fieristica;

- che ciò è in contrasto con l'art. 7, punto 2 del D.I.
n. 1444/68 il quale prescrive che in sede di formazione degli strumenti
urbanistici le densità sono stabilite tenendo conto delle esigenze
igieniche, di decongestionamento urbano e delle quantità minime
di spazi previste dagli artt. 3, 4, e 5 del medesimo decreto;

- che la cessione minima ad uso pubblico del 50% dell'area (127.500 mq)
non è motivata da valutazioni di corretto dimensionamento derivanti
dall'edificabilità prevista; infatti a 5.865 abitanti teorici (desunti
dalla quantità edificabile di 293.250 mq di s.l.p. consentita dall'indice
di densità territoriale Ut = 1,15 mq/mq, sulla base del parametro
di 50 mq/ab stabilito dall'art. 19 della L.R. 51/75, come modificato dall'art.
6 della L.R. 1/2000), corrisponde la destinazione ad aree pubbliche di
234.600 per la funzione terziaria/commerciale (80% della s.l.p., come
prescritto dalle NTA) e di 258.060 mq per la funzione residenziale (44
mq/ab, come prescritto dalle NTA). Tali quantità sono quasi pari
o superiori all'intera area oggetto di trasformazione urbanistica (255.000
mq), rendendone impossibile l'attuazione senza ricorrere obbligatoriamente
alla monetizzazione di quasi la metà delle aree pubbliche prescritte;

- che la cessione minima di aree pubbliche prescritta (127.500 mq = 50%
della St) non rispetta nemmeno la dotazione minima di 26,5 mq/ab di aree
pubbliche effettivamente realizzate sull'area, come previsto nella realizzazione
dei piani attuativi dalla L.R. n. 51/75, e che nel caso in questione ammonterebbero
a 155.422 mq;

- che, in contrasto con l'art. 6 comma 3 della L.R. n. 9/99, nonostante
le NTA della Variante indichino come strumento attuativo un Programma
Integrato di Intervento (PII) avente ad oggetto aree in tutto o in parte
destinate ad attrezzature pubbliche o di uso pubblico e ne prevedano una
differente utilizzazione, esse non prescrivono che il PII debba assicurare
il recupero contestuale della dotazione di spazi pubblici in tal modo
venuta meno;

- che il disposto dell'art. 8, punto 2 del DI n. 1444/68 prevede che nei
piani attuativi in zona B che non rispettino le quantità minime
previste dagli artt. 3, 4 e 5 gli edifici debbano avere altezza non superiore
a quella degli edifici preesistenti e circostanti;

- che con un limite di altezza tra 18 e 27 metri (pari ad edifici alti
tra sei e nove piani, paragonabili a quelli preesistenti e circostanti)
l'indice di densità territoriale (Ut) effettivamente utilizzabile
varia, a seconda degli schemi distributivi adottati, tra 0,52 mq/mq e
0,84 mq/mq.

- che, viceversa, l'indice di edificabilità territoriale Ut = 1,15
mq/mq è interamente utilizzabile solo con la realizzazione di edifici
che, a seconda dello schema distributivo adottato, debbono necessariamente
avere altezze dai circa 35 metri agli oltre 70 metri, pari a edifici dai
12 ai 25 piani, cioè dal doppio al quadruplo dell'altezza degli
edifici preesistenti e circostanti;

- che edifici di tali altezze incomberebbero sugli edifici circostanti
e preesistenti alterando in senso fortemente peggiorativo la condizione
di igienicità e vivibilità urbana dell'intera area;

- che le prescrizioni planimetriche e normative della Variante per le
aree oggetto di trasformazione funzionale ed edilizia non individuano
il perseguimento di alcun obiettivo indirizzato al decongestionamento
urbano attraverso un assetto insediativo coerente a quello dei tessuti
urbani circostanti.


Pertanto, i contenuti della Variante approvata non risultano essere finalizzati
al rispetto dei dettati degli artt. 3, 4, 7, 8 e 9 del DI 2.4.68, n. 1444
che prescrivono di dimostrare l'impossibilità di raggiungere la
quantità minima di spazi pubblici su aree idonee e, anche in tal
caso, di reperirli entro i limiti delle disponibilità esistenti
nelle adiacenze immediate (art. 4, punto 2), di stabilire le densità
territoriali e fondiarie tenendo conto delle esigenze igieniche, di decongestionamento
urbano e delle quantità minime previste dagli artt. 3, 4 e 5 del
medesimo decreto (art. 7, punto 2), di non superare con i nuovi edifici
l'altezza massima degli edifici preesistenti e circostanti se non si rispettino
i limiti di densità fondiaria di cui all'art. 7 (art. 8, punto
2), né all'obiettivo di realizzare le necessarie dotazioni di aree
pubbliche per la città. Al contrario, i contenuti della Variante
appaiono, invece, indirizzati dall'interesse di Fondazione Fiera Milano
a perseguire con la cessione a terzi dell'area oggetto di dismissione
dagli usi fieristici la massima valorizzazione economica.


Sulla base di tali valutazioni un gruppo di cittadini dei quartieri adiacenti
all'area dell'ex recinto fieristico sta predisponendo un ricorso al TAR
contro la Variante, definitivamente approvata dal decreto del Presidente
della Regione Lombardia Formigoni il 19 febbraio scorso. Si invitano quanti
volessero aderirvi a scrivere a sergio_brenna@fastwebnet.it


Sergio Brenna

 
stampa articolo
Politica dei Cookie       -       Design & Animation: Filippo Vezzali - HTML & DB programming: Alain Franzoni